di Enrico Casale
Dopo la guerra civile, Algeri si è consolidata come pilastro di stabilità nel Nordafrica, grazie al binomio esercito–Fronte di liberazione nazionale. Oggi è partner energetico strategico per l’Italia e garante regionale contro il jihadismo.
Un Paese politicamente stabile in un Nordafrica attraversato da fermenti. Un Paese ricco, forte di grandi risorse minerarie. Un Paese militarmente solido, in un’area minacciata dal jihadismo. Questa è l’Algeria, una nazione che, dopo la guerra civile tra gli anni Novanta e Duemila, ha ritrovato una stabilità garantita dal binomio forze armate–Fronte di liberazione nazionale (il partito al potere dal 1962, anno dell’indipendenza).
“Il Fronte di liberazione nazionale forma, insieme al Rassemblement National, una coalizione che innerva tutto lo Stato e assicura una grande stabilità – spiega Giuseppe Dentice, analista dell’Osservatorio sul Mediterraneo (Osmed) dell’Istituto di studi politici S. Pio V -. Si tratta, però, di una condizione straordinaria, perché l’Algeria ha vissuto momenti di forte crisi, segnati dalla guerra civile e dalle ondate di proteste popolari tra il 2015 e il 2019. Anche se il sistema politico, negli anni, è sempre stato in grado di reprimere o riassorbire ogni forma di dissenso attraverso elezioni in un certo senso guidate, e un diffuso sistema clientelare. In una sorta di modello gattopardesco, l’Algeria cambia per non cambiare mai davvero”.
L’Algeria, quale ruolo svolge nel Nordafrica?
Algeri ha un ruolo peculiare. L’atteggiamento politico algerino è tradizionalmente non interventista, anche se oggi l’azione estera è più proattiva rispetto al passato. L’Algeria mostra robustezza diplomatica e una certa assertività su temi storicamente fondanti della sua politica estera, in particolare il Sahara occidentale (a sostegno dei saharawi) e la causa palestinese. Sul piano della sicurezza, Algeri difende l’inviolabilità dei confini, soprattutto nell’area tra Nordafrica e Sahel. È una sorta di garante della stabilità, di gendarme regionale, evitando però di inserirsi direttamente nelle dinamiche politiche interne dei singoli Stati saheliani. L’Algeria non ha vissuto direttamente le Primavere arabe, ma la sua politica ne è stata comunque influenzata. Rimane quindi impermeabile alle influenze dell’Islam politico, scottata dall’esperienza traumatica della guerra civile contro il fondamentalismo islamico.

Quali rapporti ha con la Francia, ex colonizzatore, e con l’Italia?
Con l’Italia i rapporti sono oggi ai massimi livelli, per ragioni sia economiche sia politiche. La guerra in Ucraina ha spinto Roma a rivolgersi all’Algeria per gli approvvigionamenti di idrocarburi, facendo di Algeri il principale esportatore di gas verso l’Unione europea e, in particolare, verso l’Italia. Questo ha rafforzato il legame bilaterale, al punto che l’Algeria è considerata un Paese pilota e uno dei pilastri del Piano Mattei per l’Africa. Si tratta dunque di un rapporto strategico. Con la Francia la relazione è più complessa. Negli ultimi mesi non sono mancati screzi diplomatici, con reciproche ripicche a decisioni politiche. Sul piano economico, però, i rapporti restano solidi e strutturati. E non potrebbe essere altrimenti, perché la cooperazione si riflette anche nella sicurezza e nell’intelligence, ambiti in cui i due Paesi condividono la lotta contro il jihadismo.
Quale ruolo gioca l’Algeria nel contenimento del jihadismo?
L’Algeria svolge un ruolo centrale e rivendica una leadership nella lotta al jihadismo, forte dell’esperienza maturata durante la guerra civile. Le sue forze armate sono tra le meglio organizzate del continente e le meglio attrezzate per far fronte al terrorismo jihadista. L’Algeria cerca comunque la massima cooperazione con i partner regionali. Negli ultimi anni ha rafforzato la collaborazione in materia di sicurezza con Libia, Tunisia e nel Sahel. Stretta è anche la cooperazione con gli attori europei, in particolare con Francia e Italia.


