di Enrico Casale
Si apre una nuova fase del processo di pace nell’Est della Repubblica Democratica del Congo con l’accordo firmato a Doha sotto l’egida del Qatar. Ma gli analisti restano cauti: occorre tradurre gli impegni politici in risultati concreti sul terreno.
La Repubblica Democratica del Congo e l’alleanza ribelle Afc/M23 hanno sottoscritto a Doha un accordo-quadro sotto l’egida del Qatar, aprendo una nuova fase del processo di pace nell’Est del Paese. Pur non contenendo clausole giuridicamente vincolanti, il documento rappresenta un impegno politico significativo, con le parti pronte a proseguire i negoziati su protocolli chiave per giungere a un accordo di pace globale.
L’intesa prevede la volontà di porre fine alle ostilità mediante il dialogo, nel rispetto della Costituzione congolese, dell’integrità territoriale e delle norme del diritto internazionale umanitario. Tra i punti principali figurano il ripristino dell’autorità dello Stato su tutto il territorio, incluse le aree attualmente controllate dall’Afc/M23, e la definizione di tappe, calendari e meccanismi concreti per il dispiegamento delle istituzioni statali, coinvolgendo autorità locali, istituzioni tradizionali e organismi legali.
L’accordo ribadisce inoltre la sovranità della Rd Congo e prevede protocolli su accesso umanitario, sicurezza, disarmo, ritorno dei rifugiati, ripristino dell’autorità statale, rilancio economico e giustizia di transizione. Kinshasa ha definito l’intesa un “passo decisivo” per una pace duratura e inclusiva, sottolineando che “nessuno statu quo è compatibile con l’obiettivo di pace”.
La Monusco, missione Onu nel Paese, ha salutato la firma come “una base per una cessazione sostenibile delle ostilità”, ma ha ribadito l’urgenza di tradurre gli impegni politici in risultati concreti sul terreno. Il portavoce dell’Afc/M23, Lawrence Kanyuka, ha indicato come centrale la gestione congiunta delle aree sotto il controllo dei ribelli.

Nonostante l’accordo, gli analisti restano cauti. Christophe Rigaud di Afrikarabia osserva che, come per la dichiarazione di principi di luglio, il testo “non definisce come le parti realizzeranno concretamente la pace”. Durante le pause nei negoziati, sia l’Afc/M23 sia Kinshasa hanno rafforzato le proprie posizioni militari: il gruppo ribelle continua a reclutare e consolidare il controllo dei territori, mentre il governo si arma, anche con l’uso di droni, aumentando il rischio di un ritorno a scontri più violenti.
La situazione umanitaria nell’Est del Paese rimane critica: l’Afc/M23, sostenuto dal Ruanda secondo Kinshasa, è uno dei più di cento gruppi armati attivi, e i combattimenti hanno generato circa sette milioni di sfollati, con le Nazioni Unite che definiscono la crisi tra le più gravi al mondo.
Tra i sostenitori del processo, il Qatar ha agito da mediatore, mentre l’Unione Africana, gli Stati Uniti e altri Paesi regionali hanno fornito supporto diplomatico. Il consigliere senior statunitense Massad Boulos ha sottolineato che l’accordo crea l’opportunità di muoversi verso una soluzione duratura, pur riconoscendo che i negoziati sostanziali rimangono aperti.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore l’accordo, definendolo “una vera apertura alla pace e un barlume di speranza per tutti”, e ha promesso il sostegno della Francia al processo di stabilizzazione, in linea con le risoluzioni della conferenza dei Grandi Laghi di Parigi dello scorso ottobre.


