di Fabrizio Floris
Un viaggio nel cuore Guinea Conakry si trasforma in un’odissea urbana: code interminabili, mototaxi temerari, caldo opprimente e una capitale lunga 36 chilometri che diventa metafora di un Paese sospeso tra caos e resilienza, tra contraddizioni e la dignità silenziosa della sua gente.
Partenza prevista per le ore 6 metto la sveglia alle 5, ma alle 2:30 mi alzo, mi preparo e aspetto. L’obiettivo è raggiungere Nzèrekoré capoluogo della regione forestale della Guinea Conakry lungo il confine tra la Liberia e la Costa d’Avorio. Sono le 6:30 e la persona che dovrebbe accompagnarmi ancora non è arrivata, nessuna notizia, resto in attesa intanto si fa giorno e ancora la macchina non arriva, le 8, le 10, poi la prima notizia «l’auto ha un petit souci» intanto si fanno le 12 finché alle 13.30 mi chiama Sylla «tra mezz’ora passano a prenderti stai pronto».
Alle 14.30 partiamo passiamo a prendere Keita, ma dopo neanche mezz’ora dobbiamo fermarci la strada N1 è completamente bloccata. Dopo un’ora scendiamo dalla macchina e proviamo a camminare per capire dove inizia la coda, procediamo per circa 40 minuti, ma della coda non si vede la fine. Keita decide che possiamo proseguire in mototaxi «per arrivare alla fine» (primo errore: decidere in modo affrettato senza valutare tutte le conseguenze), neanche le moto riescono a districarsi, ci sono camion, auto, moto, apecar in tutti i marciapiedi, sulla strada e in tutte le direzioni i più in contromano. Entriamo con le moto in colline ripide e sterrate (secondo errore: è pericoloso e rischiamo di cadere), piccole vallate, villaggi per arrivare oltre il km 36 che segna la fine della città e dopo circa 45 minuti siamo oltre la coda (terzo errore: tutti soldi sono in macchina, il passaporto, la profilassi antimalaria, il repellente).

Da qui si capisce il problema in pratica in una grande rotonda ci sono dei lavori stradali e anche se la domenica c’è poco traffico diversi veicoli per non aspettare sono passati prima sull’altra corsia e poi sui marciapiedi: risultato tutti fermi per chilometri. In pratica dall’inizio alla fine della città. Conakry, infatti, è una città lineare lunga 36 km che segue una striscia d’asfalto che esce dall’oceano e fende la terra come una lama, ricchi hotel si alternano a macerie, case di lamiera e palazzi in costruzione. Ogni incrocio è presidiato da militari in assetto di guerra e la faccia del generale Mamady Doumbouya è dappertutto. Trentasei km segnano un continuum di mercati all’aperto, venditori di strada, ristoranti libanesi, allevamenti di capre, moschee, strade che diventano campi da calcio all’imbrunire e poi km di filo spinato intorno ai palazzi bene finché la città va sbattere contro la montagna e come una torre di babele lineare finisce fronte a terra. Trentasei km che si percorrono in un’ora la domenica quando «tutto è chiuso» e diventato tre durante la settimana.

La N1 è una lama che taglia la strada, mentre auto, moto e camion si muovono in contromano, pedoni rischiano la lotteria dell’attraversamento, venditrici di pane, frutta, anacardi, asciugamani, palloni, cannella, album per bambini, banane fritte, si guadagnano la giornata e come stuntwoman balzano tra strada, marciapiede e carreggiata senza essere investite. Venditori di tergicristallo operano la sostituzione durante il tempo della coda. Tutto è avvolto dal caldo ricorda quello dalla piana di Gioia tauro ad agosto, ma con l’umidità di Venezia: il caldo sale dall’asfalto e si mischia con l’umidità che scende dal cielo. Non si capisce perché ma al 27° km tutto si ferma nell’embouteillage: la gente scende dalla macchina e fa ciò che potremmo definire degli “aperitivi di strada”, smette di litigare con l’automobilista di fianco, qualcuno passa dei soldi al taxista purché la smetta di discutere sul prezzo della corsa di alcune donne. Si suona per qualsiasi motivo protestare, chiamare i clienti, salutare gli amici, sorpassare, il rumore, il caldo, la coda, chi può scende e prosegue a piedi, le auto si spengono, sembra calare un’ipnosi collettiva e rassegnata: non c’è strada, non c’è possibilità, a destra e sinistra l’oceano segna il confine tra le ambizioni degli uomini e la finità della terra.

Noi siamo oltre, Balde in macchina arriverà a notte inoltrata (40 km in 10 ore) e riposerà un paio d’ore in auto. Alle 5 ripartiamo e mentre vedo la nebbia risalire dalla foresta piango perché so che il mondo non sa niente degli autisti come Balde, non sa niente delle notti insonni delle madri che allattano i loro bambini, delle veglie dei malati negli ospedali. Non mi interessa sapere cosa dice il Presidente, il Generale, il Ministro, ma di questa gente che attraversa la notte e tutto ti insegna e ti chiarisce.


