Almeno 135 donne vittime di stupro si sono suicidate in Sudan dall’inizio del conflitto civile, nell’aprile 2023. Lo ha reso noto la Commissione preliminare del Sindacato dei medici sudanesi, denunciando l’ampiezza e la brutalità della violenza sessuale in corso. Secondo quanto riferito al Sudan Tribune dalla dottoressa Adeeba Ibrahim Al-Sayed, specialista della Commissione, le cause dei suicidi includono la paura dello stigma sociale e l’abbandono da parte delle famiglie.
In totale, il sindacato ha documentato 679 casi di stupro, tutti attribuiti — in base alle testimonianze delle vittime — ai paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf). Tra le vittime, almeno 256 sono minori, di età compresa tra i 5 e i 16 anni. I medici hanno anche effettuato 48 aborti per donne che avevano subito violenze sessuali. In altri quattro casi, le donne hanno partorito e successivamente abbandonato i neonati, la cui identità è attualmente sconosciuta.
La dottoressa Al-Sayed ha pertanto lanciato un appello agli organismi internazionali, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), affinché intervengano per affrontare la situazione dei bambini abbandonati e garantire protezione legale e assistenza alle vittime.
Entrambe le parti in conflitto — l’esercito sudanese e le Rsf — sono accusate di abusi sistematici contro la popolazione civile, ma secondo le denunce raccolte finora, le Rsf risultano particolarmente coinvolte in stupri, schiavitù sessuale e rapimenti. La denuncia dei medici sudanesi si aggiunge infatti a un crescente numero di testimonianze e rapporti che documentano le gravi violazioni dei diritti umani in Sudan, in un contesto di impunità e di progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza, soprattutto per le donne e le bambine.


