DI Carlo Cerini – Medicus Mundi Italia
In Mozambico un progetto innovativo ha incrociato dati satellitari e testimonianze locali per fotografare i bisogni sanitari delle comunità rurali. La collaborazione tra Università di Brescia e la mozambicana Universidade Save ha prodotto mappe dettagliate che rivelano distanze, barriere culturali e urgenza di nuovi presidi per garantire cure inclusive.
Come si soddisfa il diritto alla salute in un territorio vasto e remoto dell’Africa? Una ricerca innovativa condotta nel 2024 dalla collaborazione tra l’Universitá di Brescia e l’Universitá mozambicana SAVE (UNISAVE) ha cercato di dare una risposta: fotogrando i bisogni. Grazie al progetto REACH – Ricerca per un Equo Accesso e una Continuità di Cura per i pazienti HIV delle comunità remote – finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, é stato possibile realizzare un imponente lavoro di caratterizzazione epidemiologica della popolazione residente in zona rurale in quattro distretti della Provincia di Inhambane, un’area di oltre 10.000 kmq.

Il primo aspetto considerato é stato quello spaziale: il team di ricerca ha calcolato l’esatta definizione geografica dell’estensione di ogni singolo villaggio, in gergo definita “georeferenziazione”, permettendo di tracciare con precisione satellitare i confini esatti di ogni singola comunità e mappando l’esatta distribuzione di 106.992 aggregati familiari, un numero enorme. Per ogni villaggio é stata inoltre ottenuta, grazie a centinaia di interviste con lider ed autoritá locali, la densitá demografica della popolazione residente. Tutto ció há consentito di geolocalizzare il divario tra offerta e domanda di servizi sanitari. Il risultato è una serie di mappe dettagliatissime che per la prima volta identificano in modo inequivocabile le aree scoperte, zone a medio-alta densità abitativa che restano fuori dal raggio d’azione di qualsiasi presidio, sanitario o mobile, ottenendo uno strumento decisionale potentissimo per individuare i confini del bisogno sanitario e definire i futuri interventi. Questo approccio scientifico va infatti oltre la percezione soggettiva e le stime fatte a livello nazionale, accorciando le disuguaglianze e fornendo ai decisori dati oggettivi e attuabili su dove è prioritario istituire nuove cliniche mobili, aprire un nuovo centro di salute o modificare le strategie esistenti.
Oltre a conoscere come é distribuita una popolazione, é necessario sapere come si comporta. È stata dunque condotta un’indagine su 700 famiglie, intervistando membri delle comunitá scelti secondo un criterio randomizzato, ovvero casuale, sia tra utenti incontrati durante le cliniche mobili sia casa per casa, attraverso questionari, focus group con leader comunitari ed operatori sanitari.

Il ritratto delle comunità servite è quello di una popolazione resiliente ma con un accesso limitato a servizi di base. I capifamiglia hanno mediamente bassi livelli di scolarizzazione (oltre l’80% non supera la scuola primaria) e vivono essenzialmente di agricoltura di sussistenza (74.6%). La maggioranza delle famiglie risiede in case fatte di materiali locali come foglie di cocco e bambú (87.7%) e vive nello stesso luogo da oltre 15 anni, segno di un forte radicamento territoriale ma anche di poche opportunità di mobilità.
L’analisi mostra come le Brigadas Móveis, il servizio di cliniche mobili che Medicus Mundi suporta da ormai piú di 10 anni, sono un presidio fondamentale per le comunità rurali. L’87% degli intervistati le frequenta regolarmente, esprimendo alto gradimento. La soddisfazione è significativamente correlata alla frequenza di utilizzo: più le persone usano il servizio, più si fidano e lo apprezzano. Uno dei dati piú incredibili: per raggiungerle e quindi beneficiare dei servizi essenziali che offrono, i pazienti impiegano in media piú di un’ora e mezza di viaggio a piedi, con estremi di 7 ore in alcuni distretti. Questo dato, incrociato con le mappe, spiega perfettamente il valore delle BM in aree senza alternative.

Ma la ricerca mostra anche come esistano barriere invisibili, stigma che la mappa non vede. Se la georeferenziazione misura le distanze fisiche, la ricerca qualitativa misura quelle culturali, facendo emergere barriere profonde che limitano ancora l’efficacia delle cure, specialmente per l’HIV: stigma e mancanza di conoscenza della patologia fanno sí che gli uomini, in particolare, siano spesso restii a farsi curare per timore del giudizio sociale. Inoltre, le interviste confermano come ancora la maggioranza delle donne partorisca in casa, sia per le lunghe distanze dagli ospedali sia per la forte influenza di abitudini legate all’importanza di mantenere questa tradizione.
Molte sfide future attendono gli abitanti di queste aree. Vincerle è possibile solo rendendole sempre più inclusive, capaci di superare non solo le distanze fisiche, ma anche quelle culturali, per garantire che il diritto alla salute sia davvero per tutti.


