di Enrico Casale
In Africa il colera è un problema ancora grave, la peggiore epidemia degli ultimi venticinque anni. Lo rivelano o dati dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention. In particolare, è in atto una trasmissione attiva in Angola e Burundi. Tra i fattori principali responsabili: infrastrutture idriche fragili e conflitti.
L’Africa sta vivendo una delle peggiori epidemie di colera degli ultimi 25 anni. Secondo i dati dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention (Africa Cdc), nel 2025 sono stati registrati circa 300.000 casi confermati o sospetti di colera, con oltre 7.000 decessi. Questi numeri rappresentano un aumento di oltre il 30% rispetto all’anno precedente, quando erano stati segnalati 254.075 casi. Il direttore generale dell’Africa Cdc, Jean Kaseya, ha definito il colera “un problema ancora grave”, osservando che “ogni anno abbiamo sempre più casi”. In particolare, è in atto una trasmissione attiva in Angola e Burundi: in Angola si contano almeno 33.563 casi e 866 morti, mentre in Burundi sono 2.380 i casi e 10 i decessi.
L’Africa Cdc attribuisce l’escalation della malattia a due fattori principali: infrastrutture idriche fragili e conflitti. In molte zone, l’acqua potabile è scarsa o contaminata, e la mancanza di adeguati sistemi di fognatura favorisce la diffusione del batterio del colera. Inoltre, la situazione nei campi profughi e nelle aree colpite da conflitti è particolarmente critica: la densità di popolazione, le condizioni igieniche precarie e la carenza di materiale per l’igiene (lavaggio, disinfettanti, acqua pulita) peggiorano il rischio. Come ha affermato Kaseya: “l’insicurezza, gli spostamenti della popolazione: tutto questo non aiuta”.

Particolarmente drammatica è la situazione in Sudan, soprattutto nella regione del Darfur, dove la guerra ha distrutto gran parte delle infrastrutture civili, compresi gli impianti fognari e di depurazione dell’acqua. In quel contesto, secondo Medici Senza Frontiere (Msf), il colera si è trasformato in un’emergenza “senza precedenti negli anni recenti”.
Secondo i rapporti dell’Africa Cdc, il Sudan ha registrato 71.728 casi di colera nel 2025, con 2.012 decessi. Gli operatori sanitari collegano l’epidemia alla contaminazione delle acque dovuta alle inondazioni che hanno mescolato acque reflue con fonti d’acqua potabile.
Per contenere l’epidemia, l’Africa Cdc esorta i governi nazionali e le autorità regionali a intervenire con misure concrete: migliorare l’accesso all’acqua pulita, rafforzare i sistemi di smaltimento dei rifiuti, garantire kit di igiene (saponi, disinfettanti) e migliorare il coordinamento nelle aree vulnerabili come i campi profughi.
Inoltre, anche se in alcuni Paesi (ad esempio la Repubblica Democratica del Congo) i casi sembrano in lieve calo, l’Africa Cdc avverte che non bisogna abbassare la guardia: le cause strutturali dell’epidemia – insicurezza, dislocazione della popolazione e infrastrutture inadeguate – rimangono attuali e richiedono un impegno a lungo termine.

Se non si agisce rapidamente e in modo coordinato, l’epidemia può aggravarsi ulteriormente. Il colera è una malattia che causa diarrea grave e disidratazione, e può essere letale in poche ore se non curato. Sebbene sia una malattia prevenibile – con acqua pulita, igiene adeguata e vaccini quando disponibili – gli ostacoli infrastrutturali e politici rendono difficile una risposta efficace in molti Paesi africani.
La situazione in Sudan dimostra quanto un conflitto possa amplificare una crisi sanitaria: dove le strutture sanitarie e igieniche sono danneggiate, e dove la popolazione è in movimento, il colera trova terreno fertile per diffondersi rapidamente.
Questa epidemia di colera rappresenta un grave campanello d’allarme per l’Africa. Non è solo un’emergenza sanitaria episodica, ma il segno di problemi strutturali profondi: infrastrutture d’acqua fragili, conflitti, sfollamenti di massa. Se non verranno rafforzati i sistemi idrici, sanitari e di risposta rapida, il rischio, secondo Africa Cdc, è che il colera continui a uccidere migliaia di persone, anno dopo anno.
L’appello è chiaro: servono investimenti urgenti e duraturi, una risposta coordinata fra governi, organizzazioni internazionali e comunità locali, e soprattutto un impegno reale per garantire a tutti l’accesso a un’acqua sicura.


