di Stefano Pancera
De Beers, un tempo regina dei diamanti, affronta una crisi profonda. La vendita da parte del colosso minerario Anglo American apre nuovi scenari geopolitici nel continente africano.
Il mondo scintillante di De Beers – quello dello slogan iconico che ha trasformato i diamanti nel simbolo dell’eternità – sta attraversando una crisi che di romantico ha ben poco. Mentre Anglo American – colosso minerario britannico fondato nel 1917 in Sudafrica da Ernest Oppenheimer, quotato alla Borsa di Londra e attivo dai metalli preziosi al platino – prepara da tempo la vendita dell’85% della storica compagnia per concentrarsi sul rame, si sta consumando una partita geopolitica tutta africana che racconta molto delle nuove dinamiche di potere nel continente.
De Beers ha chiuso la prima metà del 2025 con una perdita di 189 milioni di dollari. Il crollo della domanda, i prezzi ai minimi storici e, soprattutto, la concorrenza aggressiva dei diamanti sintetici – coltivati in laboratorio, più economici e sempre più apprezzati – hanno messo in ginocchio il gigante che per decenni ha dominato il mercato mondiale delle pietre preziose. La risposta è stata drastica: produzione tagliata del 23% nel primo trimestre 2024, con una riduzione prevista del 10% sull’intero anno.
La saga De Beers: da monopolio a crisi
De Beers nasce nel 1888, quando Cecil Rhodes consolida le concessioni minerarie sudafricane costruendo quello che diventerà il più potente cartello di diamanti della storia. Per oltre un secolo l’azienda ha controllato fino al 90% della produzione mondiale, fissando i prezzi e gestendo l’offerta. Nel 2011 Anglo American, che già possedeva il 45% di De Beers, acquisisce la quota della famiglia Oppenheimer, salendo all’85%. Il Botswana mantiene il restante 15%. Ma quel monopolio, oggi, è storia.
La vendita di De Beers avviene in un contesto che va ben oltre la crisi del mercato. L’industria africana dei diamanti porta ancora le cicatrici delle guerre civili degli anni Novanta e Duemila, quando i “diamanti insanguinati”, estratti in zone di conflitto, venivano venduti clandestinamente. In Angola, Sierra Leone, Liberia e Repubblica Democratica del Congo, gruppi ribelli presero il controllo delle miniere per finanziare guerre devastanti.
Nel maggio 2000, a Kimberley, in Sudafrica, i paesi produttori crearono il sistema di certificazione oggi noto come Kimberley Process, per garantire la provenienza lecita delle pietre.
Oggi, mentre Botswana e Angola si contendono il controllo azionario di De Beers, la partita non riguarda solo bilanci e gestione industriale: è anche una forma di riscatto. Per decenni queste nazioni hanno visto le loro risorse estratte e commercializzate da altri, con profitti spesso sfuggiti alle economie locali. La battaglia per De Beers è il tentativo di riprendere in mano un settore che ha segnato profondamente la storia – e le ferite – del continente. E qui comincia il risiko.

La mossa del Botswana
Il presidente Duma Boko ha dichiarato pochi giorni fa: “Sono ufficialmente in corso passi concreti verso l’acquisizione delle azioni di Anglo American in De Beers.”
Per il Botswana, De Beers non è solo un’azienda: è un pilastro dell’economia nazionale. Il Paese contribuisce al 70% della produzione annuale di diamanti grezzi della compagnia. In un contesto economico fragile, perdere il controllo della filiera sarebbe un colpo durissimo.
Il Botswana parte avvantaggiato: possiede già il 15% di De Beers e, all’inizio del 2025, ha ottenuto un accordo che incrementa la sua quota della produzione dal 30% al 40%. Più pietre da vendere direttamente, più ricavi, più influenza nella filiera. Ora però il salto è di natura strategica: non solo aumentare il volume di diamanti commercializzati, ma rafforzare la presenza nel capitale e nei meccanismi di governance.
Per finanziare l’operazione, Gaborone (capitale del Botswana) sta esplorando partnership internazionali di alto profilo. Tra le ipotesi circolate, si segnalerebbero contatti con investitori del Golfo, inclusi interlocutori riconducibili a un fondo sovrano dell’Oman e, secondo alcune fonti, possibili capitali qatarioti tramite Al Mansour Holdings.


L’Angola entra in scena
Ma il Botswana non è solo. L’Angola, tramite la compagnia statale Endiama, ha presentato un’offerta per l’intera quota dell’85% detenuta da Anglo American, entrando così in diretta competizione con il vicino meridionale. La mossa ha fatto scattare un delicato confronto diplomatico nella regione.
Il 7 novembre i ministri delle miniere dei due Paesi si sono incontrati in Botswana. Ufficialmente, per evitare uno stallo che danneggerebbe entrambi e coordinare gli sforzi per rivitalizzare la domanda di diamanti naturali. Il comunicato parla di obiettivi “perfettamente allineati”. Ma gli atti ufficiali ad oggi sembrano dire altro: entrambi avrebbero per ora presentato solo offerte formali separate per acquisire la partecipazione di Anglo American.
Come se la situazione non fosse già abbastanza intricata, anche la Namibia – altro produttore di diamanti che confina sia con il Botswana che con l’Angola – starebbe valutando di fare un’offerta fino al 15% di De Beers, secondo quanto confermato da un rappresentante del ministero delle miniere del paese al quotidiano Namibian Sun.

Verso una possibile soluzione
Tra gli analisti, la soluzione più plausibile non è una spartizione dell’azienda, ma una co-partecipazione con governance condivisa. Il Botswana, forte della sua storia industriale e della quota già posseduta, assumerebbe la guida. L’Angola entrerebbe come co-azionista forte con diritti operativi, impegni su volumi e sviluppo di asset sul proprio territorio. Questo schema preserverebbe il brand unico, eviterebbe una guerra di offerte distruttiva e consentirebbe di coordinare l’offerta in un mercato già fragile.
Per i paesi africani produttori, però, questa non è una semplice operazione finanziaria. È la lotta per il controllo di una risorsa che, pur in crisi, rimane – come ha detto il presidente Boko – “un contributore principale della crescita economica e della trasformazione”. Un diamante, forse, non è più per sempre. Ma per Botswana, Angola e Namibia, De Beers resta un asset troppo prezioso per lasciarselo sfuggire.


