di Federico Monica
La fotografia aerea non è solo seducente. Ci aiuta a conoscere il paesaggio ancor più da vicino. Sul territorio si imprimono le millenarie attività umane o i recentissimi mutamenti sociali, demografici e ambientali. In ragione delle dimensioni ampie di tali fenomeni, solo uno sguardo dall’alto permette di leggere con immediatezza il fascino di paesaggi naturali e tradizionali unici, o le trasformazioni epocali da cui è interessato il continente africano.
Nel 1858, il celebre fotografo francese Nadar ebbe un’intuizione geniale: salì su una mongolfiera con le sue ingombranti macchine da ripresa e realizzò alcuni scatti dall’alto del centro di Parigi. Con quell’impresa ardita al limite dell’eroismo nasceva ufficialmente la fotografia aerea e per la prima volta l’uomo poteva vedere un territorio da una prospettiva inusuale: quella degli uccelli.
L’idea che il punto di vista ideale per rappresentare spazi ampi sia quello verticale risale alla notte dei tempi: alcune rocce della Valcamonica riportano incisioni geometriche della tarda età del ferro che gli studiosi hanno interpretato come una delle prime mappe della storia umana, realizzata per collocare nello spazio campi coltivati e sentieri. Qualche millennio più tardi, soprattutto grazie alla tecnologia satellitare e alla diffusione di navigatori e smartphone, le mappe interattive e le immagini dei territori dall’alto sono diventate strumenti di uso quotidiano, ma il loro utilizzo abituale rischia di farci dimenticare la potenza espressiva che queste visualizzazioni hanno nel raccontare il mondo che cambia.

Osservare dall’alto è infatti un’opportunità straordinaria per ampliare lo sguardo e cogliere a colpo d’occhio fenomeni di grandi dimensioni che la normale vista da terra non ci permetterebbe di cogliere e di decifrare.
C’è di più: i paesaggi “verticali”, proprio perché così diversi dal nostro abituale punto di vista, sono incredibilmente affascinanti e molto spesso richiamano alla nostra mente vere e proprie opere di arte astratta. In questo equilibrismo fra finzione e realtà i territori fotografati dall’alto diventano enormi tele su cui prendono forma colori e segni creando capolavori unici e in continua trasformazione.

L’Africa dall’alto, fra natura e cambiamenti del clima
Quando si parla di paesaggi mozzafiato e di potenza evocativa della natura, è difficile non pensare al mosaico unico di territori e colori che compone il continente africano alle sue diverse latitudini, dai tappeti verdi delle foreste pluviali all’arancione morbido e sinuoso delle dune del Sahara passando per la terra rossa delle savane punteggiata da acacie verdi e villaggi assopiti.
Lo sguardo dall’alto riesce a rendere ancor più evidente la meraviglia di questi territori – sempre più fragili – in cui la natura incontaminata è l’unica protagonista, così come di quelle regioni in cui l’azione lenta e consapevole dell’uomo ha saputo valorizzare risorse ed ecosistemi, disegnando scenografie che parlano di sostenibilità, equilibrio e cura.
Termini e concetti che – oggi come non mai – sarebbe necessario riscoprire e fare propri: a fianco delle forme sinuose dei campi coltivati che avvolgono le colline degli altipiani dell’Etiopia o delle geometrie nette e sature di colore delle saline antichissime che si incontrano lungo le piste sahariane gli scatti verticali ci raccontano sempre più spesso storie di territori in crisi, piegati dalla pressione antropica e dai cambiamenti del clima. Foreste primarie che lasciano il posto a lande disboscate, campi che si inaridiscono inesorabilmente, laghi che svaniscono ma anche – per un curioso contrappasso che ben racconta la complessità dell’Africa di oggi – interi pezzi di deserto che si coprono del verde brillante delle coltivazioni agroindustriali per sfamare le nuove città o per produrre biocarburanti.

Istantanee della trasformazione
I dati e i numeri degli ultimi decenni raccontano in maniera incontrovertibile il dinamismo e la crescita dell’Africa, un continente che corre verso il futuro con ritmi mai visti prima nella storia dell’umanità. L’esplosione demografica, con una popolazione destinata a raddoppiare entro il 2050, i tassi di urbanizzazione che sfiorano il 4% annuo, le economie ancora fragili e diseguali ma con percentuali di crescita impensabili nell’Occidente sono fenomeni travolgenti sotto tutti i punti di vista, che finiscono per trasformare radicalmente paesaggi ed ecosistemi.
I numeri però non aiutano a cogliere l’entità di queste vere e proprie rivoluzioni, servono le immagini. E se, percorrendo una qualsiasi delle strade d’Africa, si può toccare con mano la portata dei cambiamenti in corso, il punto di vista non può che restare parziale e frammentario; per abbracciare – e comprendere – serve uno sguardo più ampio, proprio come quello di satelliti e droni che osservano la terra dal cielo e che ci raccontano un continente sterminato e in cui tutto cambia con rapidità inaudita.
Lagos, per esempio, cresce di circa 1500 abitanti al giorno, e questo significa nuove terre strappate quotidianamente alla foresta e alle coltivazioni, nuovi rifiuti nelle già sterminate discariche della città o nelle sue lagune, ma anche mezzi per trasportare sempre più cibo e prodotti agricoli o cemento per le nuove case. Come raccontare dinamiche così complesse e dati come questi, quasi inimmaginabili? Servono punti di vista diversi e tecnologie nuove che offrano vere e proprie istantanee del cambiamento.

Lontano ma non troppo…
Se i satelliti ci permettono di leggere da lontano territori e fenomeni molto estesi, la recente diffusione dei droni regala invece ai nostri occhi una visuale più dettagliata, in grado di scrutare più da vicino la natura, le trasformazioni locali e le dinamiche della vita quotidiana.
Era il lontano 1985 quando il film La mia Africa sbancava i botteghini di mezzo mondo vincendo tra l’altro svariati Oscar; una delle scene più celebri e suggestive è un lungo volo a bassa quota che porta il biplano dei due protagonisti a sorvolare le mandrie del Parco del Serengeti e il Lago Nakuru punteggiato di fenicotteri rosa che improvvisamente si alzano in aria. Un punto di vista inedito sulla natura selvaggia del continente che è diventato nel tempo un vero e proprio filone, dai Flying Safari (esperienze di sorvolo dei parchi naturali) ai documentari sulla fauna realizzati proprio con l’uso estensivo di droni.
L’Africa di oggi, però, è ben di più che semplici safari e natura incontaminata, ed è proprio nei contesti in rapida trasformazione che droni o riprese aeree a bassa quota possono essere straordinari strumenti di narrazione e racconto. Il caos indecifrabile delle nuove metropoli africane visto da questa prospettiva, ampia ma allo stesso tempo ravvicinata, si fa, se possibile, ancora più affascinante: i capannelli di persone che si affollano intorno ai grappoli di ombrelloni colorati dei mercati di strada, le barche disposte come shanghai colorati lungo le spiagge o le file di tuk-tuk sgargianti che saturano i canyon di vicoli e piazze raccontano chiaramente il dinamismo di queste città e permettono anche di leggere relazioni ed equilibri utili per disegnare sviluppi urbani più sostenibili.
Allo stesso tempo, gli scatti rigidamente geometrici dei vicoli labirintici delle casbe, o degli agglomerati a grappolo di villaggi senza tempo in cui si alternano capanne, recinti per il bestiame e coltivazioni diventano testimonianze preziose di culture e saperi tradizionali da proteggere e valorizzare.

Come la fotografia “tradizionale”, poi, anche la ripresa dall’alto può farsi strumento importantissimo di denuncia sociale, in grado di esplorare luoghi altrimenti inaccessibili o di offrire prospettive inedite per informare e smuovere le coscienze. Alcune di queste riprese evocano meglio di mille trattati e percentuali la marginalizzazione e le diseguaglianze che affliggono molte aree urbane, mettendo in primo piano i confini netti lungo i quali si fronteggiano miseri tetti di lamiera accalcati l’uno sull’altro, da un lato, e verdissimi giardini punteggiati da piscine, dall’altro.
Altre raccontano con altrettanta efficacia e crudezza gli impatti dell’inquinamento o le drammatiche condizioni di vita e lavoro all’interno delle miniere che squarciano la terra rossa per drenare risorse sempre più preziose negli equilibri geopolitici.

Dallo sguardo all’azione?
Quando si parla di “paesaggio” si tende a pensare a un luogo pittoresco e incontaminato, la classica cartolina che cristallizza nel tempo la bellezza della natura o il fascino storico di un luogo. Nulla di più sbagliato: secondo i geografi il paesaggio è un prodotto complesso dell’interazione tra uomo e natura ed è soprattutto in costante e continua trasformazione, specialmente nei contesti fortemente dinamici come il continente africano. Anche questi nuovi paesaggi, trasformati dai cambiamenti del clima o da interventi antropici estesi, sono parte della complessa realtà contemporanea e vanno osservati con grande interesse, al di là del senso di smarrimento e perdita di identità, anche per prendere consapevolezza e identificare alternative e soluzioni a problemi concreti.
Osservare dall’alto la bellezza della natura o il mondo che sta cambiando è affascinante, e ci aiuta a capire meglio dinamiche ed entità dei fenomeni che ci circondano, ma non deve farci dimenticare che tutto si svolge qui, al livello del terreno. È qui che prima o poi dobbiamo scendere, muovere i nostri passi, esplorare, e soprattutto agire consapevolmente.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2025 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.


