Schiave domestiche etiopi in Arabia Saudita… ma ben pagate

di Raffaele Masto

La notizia in Italia, è poco interessante e, di conseguenza, è circolata poco: è stato raggiunto un accordo tra Addis Abeba e Riad per regolamentare il lavoro delle colf, delle badanti, delle domestiche etiopi in Arabia Saudita. Di fatto la regolamentazione consiste solamente nello stabilire il compenso economico minimo, che è di 235 euro al mese. Una cifra allettante, perché in Etiopia lo stipendio medio per loro è di 30 euro.

A parte il compenso, però, l’accordo non stabilisce nient’altro, nessun diritto del lavoratore, nessun orario massimo di impiego e soprattutto nessuna protezione per le insidie sessuali di cui, è cosa nota, i datori di lavoro fanno oggetto le colf di famiglia, che non hanno nessuna possibilità di difendersi, magari anche da un licenziamento in caso di rifiuto.

L’accordo prevede che le donne etiopiche, tra i sedici e i diciotto anni, verranno selezionate da una schiera di agenzie, circa 340, e dovranno aver frequentato un corso di economia domestica. Tutte le informazioni, poi, verranno inserite in cataloghi sui quali i sauditi sceglieranno.

Insomma l’accordo concede vantaggi alle donne etiopi sul piano economico e sul fatto che l’emigrazione verso l’Arabia Saudita diventa legale. Per tutto il resto rischia di essere un via libera allo sfruttamento. Poco importa, infatti, se il lavoro negli harem sauditi si può prolungare anche per venti ore, senza riposi settimanali e senza nessun altro diritto.

Il fatto che, non solo in Arabia Saudita, l’immigrazione sia pesantemente sfruttata, anche a livello di schiavitù, è un tema che meriterebbe inchieste giornalistiche e denunce, difficili da fare perché tutte le monarchie del Golfo concedono col contagocce visti giornalistici e, nel caso lo facciano, limitano gravemente il lavoro dei reporter all’interno.

(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)

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