Alessandra Ballerini su “sommersi e salvati”*

di Stefania Ragusa

Chiunque si occupi di immigrazione, chiunque sia più o meno direttamente coinvolto dalle normative in materia di permessi di soggiorno, in questi giorni complessi della fase due, in cui il virus incombe ma bisogna “ripartire”, viene sopraffatto dalla difficoltà di cercare di interpretare l’articolo 103 del cosiddetto decreto rilancio.
Questo articolo che vanta ben 26 commi, infatti, non è di immediata comprensione tanto più se si considera che i destinatari della norma sono (anche e soprattutto) migranti non proprio avvezzi ai tecnicismi del linguaggio giuridico.
Il fatto poi che da queste norme e dalla loro corretta interpretazione dipenda l’esistenza “regolare” di decine di migliaia di persone rende questa attività interpretativa ancora più ansiogena.

Da qualche settimana ho la fortuna di partecipare insieme ad oltre 250 esperti, attivisti, amici e colleghi sparsi in tutta Italia a un neonato gruppo di lavoro che fin dalle prime bozze si interroga e si adopera per rendere questa norma accessibile alla comprensione dei beneficiari e per provare a migliorarla.
In questi giorni veniamo tutti sollecitati dalle concitate richieste di aiuto di stranieri che sperano e supplicano di poter finalmente “emergere”. E ogni volta che declino questo verbo non riesco a non pensare per un’associazione inevitabile di idee ai sommersi e ai salvati di Primo Levi.
L’emersione o sanatoria che dir si voglia costituisce per un’infinità di creature che abitano le nostre (e loro) città e campagne, la meta agognata di un lunghissimo percorso ad ostacoli.

La regolarità costituisce la via di accesso ad una serie di diritti e libertà altrimenti negati (dal diritto ad avere il medico di base, alla residenza, alla possibilità di accedere a sussidi e sostegni o di ottenere certificati e documenti dalla pubblica amministrazione).
Essere regolari consente se non di eliminare le discriminazioni, che purtroppo non mancano mai per chi viene sempre considerato straniero seppure in possesso di passaporto italiano, almeno di combatterle onorevolmente.
Da regolari si può chiedere e a volte persino ottenere giustizia con una forza e un margine di successo che viceversa nella “clandestinità” sono impensabili.

Si usa spesso, in questi giorni, l’aggettivo “invisibile” per definire chi non ha un titolo di soggiorno, lavora in nero e suo malgrado vive ai margini della nostra ottusa società. Sarà che per professione e vocazione frequento quasi solo questo tipo di persone, non credo che chi non ha il permesso di soggiorno sia invisibile, credo invece che non li si voglia vedere perché sono lo specchio del fallimento della nostre politiche sociali e della nostra umanità.
Ora tutte queste creature “non viste” ma sfruttate sono in piena frenesia perché hanno sentito o letto che “è uscita la sanatoria“ che attendono da mesi o anni, con la stessa inquieta speranza con la quale si aspetta una medicina salva vita o un vaccino.
E così chiamano e bussano a tutte le porte terrorizzati che questa opportunità possa sfuggire o venga loro negata a causa di una delle tante insidie contenute nell’attuale testo di legge. A volte però bussano alle porte sbagliate e si trovano nelle mani avide di truffatori, mafiosi e schiavisti.

Per questo sono felice di partecipare a questo gruppo di lavoro che ha sta creando una serie di guide e vademecum sulla procedura di regolarizzazione con instancabile entusiasmo e generosa competenza, beni particolarmente preziosi in tempi di pandemia
In questo sito si possono trovare informazioni utili: www.grei250.it
Nel nostro logo non a caso appare la scritta “tutti in regola”, non solo un auspicio ma anche una sfida e una consapevolezza.

(Alessandra Ballerini)
*Questo intervento è apparso in forma più stringata sull’edizione genovese del quotidiano la Repubblica

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