La tigre indiana soppianterà il dragone cinese?

di Enrico Casale

WEB_PHOTO_INDIANDELIGHTS_SHOP_05112013Il gruppo indiano Jindal Steel and Power costruirà in Senegal una centrale a carbone da 350 Mw. L’elettricità sarà poi venduta alla società elettrica senegalese a prezzo di favore. L’impianto contribuirà quindi a ovviare alla cronica carenza di energia elettrica in Senegal, anche se si è attirato qualche critica per le possibili emissioni inquinanti. Questo investimento, che costerà al gruppo asiatico 790 milioni di euro, mette però in evidenza una presenza, quella indiana in Africa, di cui si parla poco. Tutte le attenzioni sono sempre rivolte alla presenza massiccia dei cinesi con le loro imprese, la loro manodopera e la loro «attenzione» alle risorse naturali. Degli indiani si parla poco. Forse perché la loro presenza è più discreta. Ma anche perché gli indiani sono una componente sociale antica soprattutto nell’Africa subshariana (Ghandi, per esempio, visse e lavorò in Sudafrica per molti anni).

Secondo le statistiche fornite dall’Organizzazione mondiale del commercio, l’interscambio bilaterale India-Africa è cresciuto del 32% ogni anno dal 2005 al 2011. E, nonostante la recessione mondiale, nel 2015 dovrebbe attestarsi intorno ai 90 miliardi di dollari. Attualmente l’India è il quinto partner commerciale dell’Africa dopo Stati Uniti, Francia, Malaysia e Cina. Rispetto alla Cina però l’India ha alcuni vantaggi. Come il Brasile che intrattiene ottime relazioni con i Paesi africani lusofoni, l’India ha relazioni eccellenti con Ghana, Nigeria, Kenya, Tanzania, Botswana e Sudafrica tutte ex colonie britanniche (come l’India) e tutte con una presenza attiva di comunità indiane. Non è un caso che Durban (Sudafrica) sia la città in cui vivono più indiani al di fuori dell’India stessa. E questo non può che giovare alle aziende pubbliche e private di New Delhi.

I rapporti commerciali sono poi una consolidata tradizione che da decenni si è andata sviluppando all’interno del Commonwealth britannico. Un bacino che ha permesso ai Paesi africani un dialogo costante e costruttivo con il subcontinente indiano. Gli indiani inoltre, a differenza dei cinesi, non esportano manodopera, ma utilizzano quella locale. Offrono così opportunità lavorative e si creano una buona immagine sia tra le classi politiche e imprenditoriali locali sia tra la gente comune. Lo stesso avviene per i semilavorati e i macchinari: gli indiani tendono ad approvvigionarsi localmente piuttosto che importarli dalla madrepatria. A tutto vantaggio delle economie africane.

Ciò assicura un plus competitivo a New Delhi che, nel tempo, potrebbe addirittura soppiantare l’arrembante Pechino.

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