Rd Congo, un presidente aggrappato al trono

di Enrico Casale
kabila degage

Morti, arresti, feriti, disordini e tensione. Accade a Kinshasa come in un copione messo in scena ripetutamente, in Congo, ma anche in molti altri Paesi dell’Africa. In questo caso specifico, però, qualche variazione significativa c’è. La più importante è che ad avere organizzato le proteste di piazza questa volta è stata la Chiesa Cattolica che – pur essendo in prima linea nelle critiche a Joseph Kabila – ha sempre cercato di svolgere un ruolo di mediazione. Ora sembra avere abbandonato questo ruolo.

Significa che la crisi congolese adesso ha meno opportunità di trovare un compromesso e le parti corrono, senza freni, nella prospettiva di uno scontro frontale dalle conseguenze imprevedibili, ma sicuramente non pacifiche.

Esattamente un anno fa, alla fine del 2016, scadeva il mandato presidenziale di Joseph Kabila. Ci sarebbero dovute essere elezioni, o almeno una data sicura per svolgerle. Non c’è niente di tutto questo. Joseph Kabila non vuole abbandonare il potere forte di una sorta di alleanza con tutti i suoi colleghi della regione: il congolese di Brazzaville, Denis Sassu N’Guesso, il ruandese Paul Kagame, l’ugandese Yoweri Museweni, il burundese Pierre Nkurunziza.

Secondo alcune notizie, tutte da confermare, starebbe cercando un candidato fantoccio da far vincere alle prossime eventuali elezioni e ripresentarsi per il successivo mandato dopo che il «fantoccio» gli ha tenuto il posto in caldo. Una sorta di «ticket alla russa», come quello tra Putin e Medvedev.

Un suo fallimento potrebbe avere effetti a catena nella regione. La partita poi è importante perché intorno alla Repubblica Democratica del Congo e alle sue ricchezze minerarie si appuntano gli interessi di molte potenze e multinazionali del pianeta.
In mezzo a questi potenti protagonisti c’è il popolo congolese, quasi cento milioni di abitanti che, attraverso le proteste, vorrebbe dire la sua.

(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)

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