«Per intervenire militarmente in Libia serve una strategia. Che non c’è»

di Enrico Casale
libia

il premier libico serraj La Libia riuscirà a riemergere dal caos in cui è lentamente sprofondata dal 2011? Quale ruolo potranno avere le nazioni europee? E l’Italia? Domande che si rincorrono spesso su media nazionali, spesso senza risposte. Abbiamo cercato di fissare qualche punto fermo con Arturo Varvelli, ricercatore ed esperto di Libia.

La firma dell’accordo in Marocco (17 gennaio) che prevede la nascita di un Governo di unità nazionale ha suscitato grandi aspettative. Il voto contrario del Parlamento di Tobruk ha però raffreddato gli entusiasmi…
La nascita di un Governo unitario è una possibilità che ancora non si può escludere ma, considerato l’andamento delle trattative, non ci può essere ottimisti. Sono ancora molti i nodi da sciogliere. In particolare, il ruolo del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Tobruk e grande escluso dall’intesa. Non va però dimenticato che è ostile all’accordo anche buona parte dei partiti e delle milizie della Tripolitania. Quelle, per intenderci, che fanno capo a Abu Sahmein, Presidente islamista del Parlamento di Tripoli.

In questo contesto, quale ruolo gioca il Daesh?
Lo Stato islamico è una minaccia che non va sottovalutata, ma neanche sopravvalutata. Secondo studi attendibili, l’Isis può contare su non più di 3.500 miliziani dei quali circa duemila operano intorno a Sirte. Il fatto che si sia sviluppato nell’area di Sirte non è un caso. Questa è la zona in cui è nato Muammar Gheddafi e dove vive la tribù Qaddafa, la più ostracizzata ed emarginata perché ritenuta vicino al vecchio regime. Come già avvenuto in Iraq, dove pezzi del vecchio regime di Saddam Hussein hanno aderito all’Isis, così anche in Libia alcuni vecchi dirigenti di Gheddafi insieme ai giovani hanno abbracciato Daesh per rivalsa.

Quale ruolo svolgono le potenze regionali?
L’Egitto è proccupato sia per la possibile estensione dell’area di influenza dell’Isis sia per un possibile governo guidato dalla Fratellanza musulmana a Tripoli. Per questo motivo continua a sostenere Haftar. Un piano di pace non può assolutamente prescindere da un coinvolgimento del Cairo. L’Algeria è più defilata. Teme anch’essa però le infiltrazioni islamiste, soprattutto dal Fezzan. Ha invece assunto un ruolo importante il Marocco che ha promosso il dialogo nazionale libico. Non è un caso che l’intesa sia stata firmata a Rabat.

Come giudica un possibile intervento militare occidentale in Libia?
Presupposto fondamentale di un intervento militare è avere un chiaro obiettivo politico. Ma Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Italia hanno un obiettivo chiaro? Finora l’annuncio dell’invio di un possibile contingente è stato giustificato con la volontà di fare pressione sulle fazioni libiche per ottenere un’intesa e come una reazione al dilagare del terrorismo. In realtà, non sembra chiara la strategia. Il rischio è che un intervento militare non porti alla pacificazione, ma all’alleanza delle milizie locali in funzione antioccidentale. Ciò porterebbe le potenze occidentali a trovarsi invischiate in una missione a tempo indeterminato la cui efficacia politica viene progressivamente erosa.

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