Mogol: «Canzoni? No, per l’Africa ho un progetto…»

di Enrico Casale
Mogol

Con le sue canzoni ha fatto sognare generazioni di italiani. Ma a Mogol non basta. Vuole lasciare un segno più profondo non solo nella società italiana, ma anche in quella europea e africana. Per questo motivo, con l’aiuto di alcuni esperti, ha redatto in mesi di lavoro una bozza di progetto che prevede il coinvolgimento dell’Unione Europea, dell’industria agroalimentare, di studiosi e tecnici europei, e di migranti con le loro famiglie, per far nascere immense coltivazioni biologiche nei Paesi africani sul Mediterraneo. I prodotti si venderebbero in Europa.

«Come a tutti, mi è impossibile sfuggire a riflessioni sulla tragedia della migrazione di massa dei nostri giorni, con il nostro Paese più esposto e generoso nell’accoglienza», ha dichiarato in un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa (che ha anticipato anche il testo del documento).

Ma il documento, sembra non interessare alla politica. «L’ho dato a politici di destra e di sinistra – osserva Mogol –, ma non mi rispondono. Ora miro più in alto: da una parte, sta arrivando al presidente del Parlamento Europeo Tajani, ma è in Vaticano che ho ricevuto attenzione e incoraggiamento. Ho parlato con il Segretario di Stato mon. Parolin e con padre Georg, serio simpatico e affascinante, positivo e costruttivo: mi ha invitato a persistere. Non escludo di incontrare altre autorità vaticane».

Secondo il famoso paroliere di Lucio Battisti, non si può rimanere insensibili di fronte a una tragedia come quella delle migrazioni. È necessario intervenire per aiutare gli africani. «Il documento – continua – è un’idea su cui indagare. Non c’è altra soluzione se non aiutare questa gente in Africa. Giova soprattutto a loro, qui gli diamo una carità senza futuro, non un’accoglienza. Vicino a me ad Avigliano ci sono 25 ragazzi africani e non li ho mai visti sorridere: sono tutti frustrati, le nostre soluzioni danneggiano noi e loro».

Il progetto prevede interventi anzitutto nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. «C’è bisogno di acqua dolce che venga dalla desalinizzazione. E inoltre i migranti arrivano a quei luoghi per partire, si possono informare, far capire loro che il futuro è in Africa. Certo, senza le disponibilità europee non si fa nulla. Nel mio progetto si parla di proprietà su quei terreni, e i finanziamenti arrivano dal lavoro delle aziende. Ci vorranno più di 10mila ragazzi a insegnare come si coltiva, le famiglie coinvolte vivranno del loro lavoro».

Ma è solo un sogno? «No, tutt’altro. Cerco invece di esser pragmatico e creare le condizioni. Il sogno confonde. Non sono neanche ottimista, ma penso che il modo di uscirne è solo questo. E poiché tutti sono interessati ai soldi, la mano dell’Unione Europea è la prima cosa. Si cominci a fare nei primi paesi disponibili, con il monitoraggio di gente che lavora e ha casa da difendere, combattendo così anche l’Isis. Credo nel fare, nel lavorare. Se ci mettiamo a considerare la complessità delle cose, non ci muoviamo più. I grandi progetti nel mondo sono partiti come utopie, mi rendo conto delle difficoltà, ma così ci guadagnamo tutti. Si ricordi: l’intenzione è il seme, la pianta è il regalo del destino».

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