L’Onu: «L’Eritrea liberi subito Dawit Isaak e i giornalisti in prigione»

di Enrico Casale
dawit isaak

«Liberate Dawit Isaak». A chiederlo sono le Nazioni Unite che hanno hanno interpellato le autorità eritree affinché forniscano notizie e poi rilascino il giornalista. Di lui non si sa più nulla. Le ultime notizie risalgono al 23 settembre 2001. Quel giorno, Dawit Isaak era nel suo appartamento di Asmara. Le forze speciali eritree hanno fatto irruzione e lo hanno arrestato. Contemporaneamente stavano arrestando altri suoi colleghi giornalisti sia nella capitale sia in altre città del Paese. Poi il silenzio. Nessuna notizia. Qualche indiscrezione lo dà per morto, ma sono, appunto, indiscrezioni. Nulla di verificato e confermato dalle autorità.

«Il caso di Dawit Isaak è emblematico di tutti coloro che sono stati fatti sparire dal Governo eritreo. Sono molte le persone (politici, artisti, giornalisti, semplici cittadini) di cui non si sa più nulla dopo l’arresto – ha dichiarato Sheila B. Keetharuth, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani in Eritrea -. Il Governo di Asmara ha l’obbligo di fornire urgentemente informazioni sul destino e la sorte di tutti coloro che sono stati privati della libertà fisica».

Dawit Isaak non è una persona qualunque: 52 anni, giornalista, nel 1993 ha fondato «Setit», il primo giornale indipendente dell’Eritrea. Scrittura corrosiva e impertinente, è diventato subito una spina nel fianco di un Governo che stava velocemente trasformando il Paese in un regime. Come molti eritrei aveva anche la cittadinanza della Svezia, nazione nella quale si era rifugiato durante la lotta per l’indipendenza. Spesso, però, tornava in patria. Ed è proprio durante uno dei suoi soggiorni in Eritrea che è stato arrestato insieme ad altri giornalisti indipendenti del cosiddetto gruppo G-15 che chiedeva riforme democratiche al Presidente Isayas Afeworki.

In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa 2017, Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto la fine della repressione dei giornalisti che ha definito «voce dei senza voce».

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