L’apartheid delle banlieue

di Raffaele Masto
L'apartheid delle banlieue

La vicenda di Theo, il giovane di 22 anni picchiato e stuprato da quattro poliziotti in una banlieue di Parigi, riporta alla ribalta un problema che periodicamente torna di attualità. Nel 2005 a Parigi c’era stata una rivolta di venti giorni ma gli episodi di violenza e di protesta, in questi dieci anni, sono continuati, anche se non clamorosi come allora. Recentemente, dopo l’attacco terroristico all’aeroporto di Bruxelles, il mondo intero aveva conosciuto Molenbeek, di fatto una delle banlieue del Belgio, che aveva ospitato i terroristi che avevano colpito l’aeroporto. Si tratta di un quartiere di circa sei chilometri quadrati, abitato in stragrande maggioranza da una popolazione, originaria direttamente o di seconda generazione, proveniente dal Maghreb. Di fatto ogni città europea ha la sua (o le sue) Molenbeek.

Sono luoghi di confine, delle Township prodotto dell’emarginazione sociale, politica, economica che altro non è che una forma di razzismo. Sì, razzismo. Una brutta parola, che ci squalifica, che quasi ci offende ma che è una realtà. Gli episodi, oltre a quello inqualificabile dei quattro poliziotti parigini, che possono essere qualificati con questa parola sono tanti. Potrei fare una lunga lista… che evito di fare.

In passato abbiamo definito apartheid la realizzazione di luoghi in cui i “diversi”, gli “stranieri” venivano relegati. In Sudafrica erano istituzionalizzati. Nelle città della civile Europa del Terzo Millennio sono una creazione “di fatto”, ma estremamente reale. Una dimostrazione che l’Europa sul tema integrazione ha fallito.

(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)

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