Inna Modja, una cantante contro le mutilazioni genitali femminili

di Enrico Casale

mutilazioni genitali femminiliSta utilizzando la sua fama di cantante per dire no alle mutilazioni genitali femminili (Mgf). Lei si chiama Inna Modja, viene dal Mali e anch’essa è una vittima di questa pratica antichissima (che erroneamente viene associata all’Islam, ma risale invece a epoche precedenti). «Come donna africana che ho vissuto sulla mia pelle la mutilazione genitale femminile – ha detto recentemente -so che cosa è e so quanto sia dannosa. Voglio proteggere le ragazze più giovani e quelle delle generazioni a venire, perché questa pratica deve finire!». Modja è riuscita a riconquistare l’autostima dopo la chirurgia ricostruttiva. «La chirurgia ricostruttiva mi ha aiutato a guarire – ha raccontato -. Mi ha aiutato a guarire fisicamente e psicologicamente, e in qualche modo mi ha riparato. Ma quando si dice la riparazione, c’è sempre una cicatrice. È come quando si rompe un vetro e il nastro adesivo lo rimette insieme. Il vetro è riparato, ma si vedono sempre le linee di rottura. La mia escissione è la mia linea di interruzione».

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale. L’Africa è di gran lunga il continente in cui il fenomeno è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di questa pratica, e circa 3 milioni di altre che ogni anno si aggiungono al totale.

La pratica è documentata e monitorata in 27 Paesi africani e nello Yemen. In altri Stati (India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele) si ha la certezza che vi siano casi, ma mancano indagini statistiche attendibili. Meno documentata è la notizia di casi di Mgf avvenute in America Latina (Colombia, Perù), e in altri Paesi dell’Asia e dell’Africa (Oman, Sri Lanka, R. D. Congo) dove tale pratica non è mai assurta a tradizione vera e propria.

In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l’intera popolazione femminile. In altri quattro paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale. In altri 5 (Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di prevalenza è considerato medio – tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti paesi la diffusione varia dallo 0,6 al 28,2%.

Anche il tipo di intervento mutilatorio imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle Mgf praticate è di tipo escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell’apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all’azione specifica della «infibulazione», che ha come scopo il restringimento dell’orifizio vaginale e può a sua volta essere associato anche a un’escissione.

L’Onu spera di eliminare le mutilazioni genitali femminili entro il 2030. A questo sforzo danno un grande aiuto le testimonianze e l’attivismo di star come Inna Modja.

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