Etiopia, l’oppositore Yonatan Tesfaye rischia 20 anni di carcere per un post

di Enrico Casale
Yonatan Tesfaye

La sua unica colpa: aver messo in rete post critici verso il Governo etiope. Tanto è bastato per farlo arrestare e metterlo sotto accusa. La sentenza arriverà, probabilmente, il 22 maggio. Rischia una condanna dai 10 ai 20 anni per «attività che incoraggiano il terrorismo».

È questa la sorte di Yonatan Tesfaye. Ex portavoce del Blue Party partito blu, è stato arrestato nel dicembre 2015. L’autorità hanno considerato i suoi post su Facebook pericolosi perché avrebbero contribuito ad accendere le proteste della popolazione oromo. Per sei mesi è stato trattenuto in prigione senza un’accusa formale e solo nel maggio 2016 i magistrati lo hanno formalmente accusato di terrorismo in base della durissima legge per la sicurezza dello Stato. Secondo l’articolo 6 della normativa, infatti, «chiunque pubblica o favorisce la pubblicazione di una dichiarazione che sarà probabilmente intesa […] come incoraggiamento diretto o indiretto […] alla preparazione di un atto terroristico» è colpevole di atti terroristici.

Nei suoi post Yonatan Tesfaye accusava il Governo di Addis Abeba di non utilizzare le armi del dialogo con l’opposizione e quindi di essere l’unico responsabile delle proteste che si sono diffuse nel Paese. Il giudice ha stabilito che questo tipo di commenti «superano la libertà di espressione» e quindi era perseguibile. Yonatan si è però sempre proclamato innocente. Amnesty International ha definito le accuse «inventate».

Questo atteggiamento duro da parte del Governo e della magistratura è una reazione alle proteste che, nel 2015 e nel 2016, hanno scosso il Paese. Partite dall’Oromia, i cui abitanti si sentono fortemente emarginati sia dal punto di vista politico sia da quello economico, le manifestazioni si sono poi diffuse anche in altre parti del Paese. Secondo la Commissione per i diritti umani etiope, più di 600 persone sono morte negli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti.

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