31/10/14 – Algeria -Pena morte, duemila condannati restano nel limbo

di AFRICA

 

Da più di vent’anni, da quando cioè, nell’ormai lontano 1993, l’Algeria ha aderito alla moratoria per le condanne a morte promossa dalle Nazioni Unite, nelle sue prigioni sono continuati ad arrivare detenuti che, soprattutto da parte dei tribunali chiamati a giudicare presunti terroristi o gravi episodi di criminalità comune, sono stati ritenuti meritevoli della morte.

Ad oggi, secondo un recente rapporto di Amnesty international, i giudici algerini hanno inflitto appunto dal 1993 oltre duemila condanne a morte, parecchie delle quali, comunque, a carico di terroristi islamici, alcuni dei quali alla macchia da un ventennio. Ma ce ne sono altri che, in prigione, aspettano che la loro posizione si chiarisca perchè, pur se l’Algeria ha aderito alla campagna Onu per sospendere le esecuzioni di Stato, non è detto che qualcosa possa interrompere questo lunghissimo periodo.

La condanna a morte, a leggere i diagrammi che ne rispecchiano l’andamento nel tempo, hanno seguito una sorta di percorso ondivago e corrispondente all’inasprirsi degli atti legati al terrorismo islamico. Cosi’ ci sono stati periodi di relativa stasi conseguenza dei maggiori successi dell’esercito contro i jihadisti, ai quali hanno fatto seguito picchi di condanne quando la violenza islamista si è rimanifestata con virulenza.

Così, ad esempio, nel 1994, quando la lotta all’estremismo islamico aveva assunto le connotazioni di una guerra civile, in 600 furono condannati a morte. Il punto più basso è stato raggiunto lo scorso anno (40 condanne), in un saliscendi proporzionale ai successi nella lotta alla jihad: 285 nel 2008; 100 nel 2009; 130 nel 2010; 51 nel 2011 e 153 nel 2012.

L’algida sequenza delle cifre e delle statistiche ha però dei vuoti, perchè non cita, ad esempio, il numero di coloro che sono stati condannati a morte (e non hanno avuto la pena commutata nell’ergastolo, come spesso accade) e sono decedute in carcere, in attesa di conoscere la propria sorte. Ma questa vicenda ha anche dei paradossi, perchè se la permanenza in carcere da condannato a morte è un fatto carico di angoscia e paura, dall’altro dà la possibilità, a chi sostiene di essere innocente, di cercare di ottenere una revisione del processo. Ma è ben poca consolazione davanti ad una condizione perenne di ”walking dead”. Perchè la condanna a morte, sino a quando l’Algeria non deciderà di abolirla inserendo tale decisione in Costituzione, penderà sui “morituri” con la lama di una ghigliottina pronta a calare sul loro collo.* Diego Minuti – (ANSAmed).

 

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